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Legittimo impedimento. E se fosse costituzionalità provvisoria?

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- Se qualcuno aveva ancora dei dubbi, la conferenza stampa di fine anno del Presidente del Consiglio ha chiarito la delicatezza del compito che attende nel prossimo futuro la Corte costituzionale. Delicatezza che non dipende principalmente dal merito della vicenda in esame, ma da una debolezza intrinseca del sistema politico che da almeno quindici anni trasferisce impropriamente il peso dello scontro politico sugli organi di controllo e garanzia – ad es. chiamando in causa il Presidente della Repubblica per non firmare un testo legislativo approvato dalle Camere, ovvero la Consulta per farne dichiarare l’incostituzionalità.

Ciò non è una mera questione di etichetta istituzionale, che già di per sé sarebbe comunque importante, ma concerne aspetti sostanziali. In primo luogo, il forzato coinvolgimento di organi terzi può comportare un’impropria lettura delle loro decisioni, determinando perlomeno uno stato di tensione istituzionale; in secondo luogo, questo fenomeno riflette l’incapacità della classe politica di risolvere alcune fondamentali questioni.

Un esempio paradigmatico di quest’ultimo aspetto è certamente rappresentato dal rapporto conflittuale tra magistratura e politica, che da almeno quindici anni tormenta la vita pubblica italiana. E difatti la legge sul legittimo impedimento oggi in esame non è altro che l’ennesimo tentativo del centro destra di garantire penalmente Berlusconi – vera e propria cifra della sua politica della giustizia, come dimostra il ruolo ‘politico’ assunto dal personale difensore di fiducia del Premier, con evidente commistione, illiberale, di ruoli e di piani – a cui però ha corrisposto la totale inerzia di un centro sinistra tutto proteso a mantenere in vita le problematiche giudiziarie del proprio avversario, nonché il gigantesco conflitto di interessi, per lucrarvi strumentalmente consenso elettorale.

In relazione alla problematica in esame, la Corte costituzionale ha, però, già avuto modo di stabilire alcuni punti fondamentali:
– il principio di parità di trattamento di fronte alla giurisdizione è all’origine della formazione dello Stato di diritto (sent. n. 24/2004);
– il legittimo impedimento è strumento processuale posto a tutela di qualsiasi imputato, come tale legittimamente previsto da una legge ordinaria (sent. n. 262/2009);
– il legittimo impedimento a comparire in udienza può differenziare la posizione processuale del componente di un organo costituzionale solo per stretto necessario, senza alcun meccanismo automatico e generale (sent. n. 262/2009);
il giudice deve realizzare in concreto un equo contemperamento tra le due contrapposte esigenze, entrambe di valore costituzionale, della speditezza dei processi e della integrità funzionale di un organo costituzionale (sent. n. 263/2003);
il legislatore ordinario, in tema di immunità (anche in senso lato), può intervenire solo per attuare il piano costituzionale, essendogli preclusa ogni eventuale integrazione o estensione (sent. n. 262/2009).

Autorevole dottrina (Grevi) ha acutamente evidenziato che quanto sopra detto non comporta automaticamente l’impossibilità del legislatore ordinario di prevedere una specifica disciplina del legittimo impedimento, quando l’impossibilità di comparire in udienza dipenda dall’indifferibile svolgimento di attività parlamentare o ministeriale, ma ciò dovrebbe avvenire attraverso “l’articolata previsione di ipotesi, rigorosamente definite e circoscritte, in presenza delle quali potesse presumersi (salvo il necessario accertamento, da parte del giudice circa l’avvenuta integrazione, in concreto, delle relative fattispecie di “assoluta impossibilità”) la sussistenza di un legittimo impedimento a comparire, connesso ai doveri funzionali” (Cass. Penale – 2009).

È di palmare evidenza che la legge n. 51/2010 non rispetta i rigorosi parametri sopra indicati. Infatti, la legge, come è noto, prevede che per il Presidente del Consiglio dei Ministri (ed i singoli ministri) costituisca legittimo impedimento a comparire nelle udienze dei procedimenti penali, quale imputato o parte offesa, il concomitante esercizio delle attività connesse alle funzioni di governo, e che l’attestazione (del legittimo impedimento) sia compiuta dal Segretario generale della Presidenza del Consiglio per un periodo (rinnovabile) fino a sei mesi, senza nessuna possibilità di controllo da parte del giudice. È quindi forte il dubbio che si tratti di una forma mascherata di immunità, che non potrebbe essere altrimenti introdotta da una legge ordinaria.

L’esito del giudizio di costituzionalità, pertanto, apparirebbe scontato, prefigurando la possibilità di una sentenza di incostituzionalità tout court (come nei precedenti casi dei c.d. Lodi Schifani e Alfano), ovvero una sentenza interpretativa di accoglimento che ne imporrebbe una lettura costituzionalmente compatibile, ossia la previsione del controllo in concreto del giudice nei termini già espressi.

Vi è però un elemento che potrebbe determinare una posizione più articolata della Consulta: la predefinita ed espressa temporaneità correlata alla (eventuale) data di entrata in vigore della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri – e, comunque, non oltre diciotto mesi – al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge. Pertanto, si potrebbe argomentare che la legge in argomento rappresenterebbe una misura eccezionalmente provvisoria, diretta ad evitare la lesione grave e irreparabile dell’interesse costituzionalmente rilevante – il sereno svolgimento delle funzioni dei principali organi costituzionali (sent. n. 24/2004) – che l’adottanda legge costituzionale dovrebbe tutelare.

La complessità della valutazione della congruità e ragionevolezza del mezzo adoperato per la predetta finalità potrebbe indurre ad un atteggiamento più prudente, in attesa delle decisioni del legislatore costituzionale a cui, anzi, con spirito di leale collaborazione potrebbero essere indicati alcuni suggerimenti. Ciò potrebbe avvenire con l’adozione di una sentenza ‘monitoria’ – mirante a differire temporalmente gli effetti delle pronunce di incostituzionalità verso il futuro – e più precisamente nel caso specifico, una sentenza:
– di rigetto con accertamento di incostituzionalità: la Corte, pur rigettando o dichiarando inammissibile la questione per rispetto della discrezionalità, giunge ad affermare espressamente che la normativa sottoposta al suo esame è sicuramente incompatibile con i parametri costituzionali.
– di costituzionalità provvisoria: la Corte dichiara non fondata la questione allo stato o per ragioni di straordinarietà ed eccezionalità, ma ne condiziona il rigetto al progressivo riordinamento legislativo o al perdurare della situazione di eccezionalità. Tali pronunce generalmente avvertono il legislatore che, qualora la disciplina esaminata perda il carattere di temporaneità e divenga definitiva – vale a dire non sia modificata entro tempi ragionevoli – la Corte non potrà esimersi dal ritenerla costituzionalmente illegittima e procedere alla sua caducazione.

A dimostrazione della plausibilità della tesi esposta, è possibile citare un remoto precedente in una fattispecie per certi aspetti analoga che ha riguardato i contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria erga omnes ai sensi dell’art. 39 Cost. Come è noto, tale fonte di diritto non è mai stata attuata, ma inizialmente il legislatore ordinario, per darvi una prima attuazione, approvò la legge n. 741/1959 (Norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo dei lavoratori) che autorizzava il governo ad adottare con decreti legislativi i contratti collettivi di diritto comune. Allora, la Corte costituzionale ebbe modo di dichiarare non fondata la questione di costituzionalità proprio in ragione del carattere meramente transitorio del meccanismo introdotto, tranne poi dichiarare incostituzionale una successiva legge che mirava a renderlo permanente (sent. n. 106/1962).

D’altronde, è pacifico che il nostro ordinamento costituzionale possa tollerare temporalmente una normativa incostituzionale, anzi ne è addirittura un aspetto fisiologico in considerazione del sindacato successivo del giudizio di costituzionalità. Inoltre, sul piano giuridico una decisione del genere non pregiudicherebbe nulla, poiché, nell’ipotesi della mancata adozione della legge costituzionale, i processi a Berlusconi ricomincerebbero senza che il tempo decorso abbia prodotto nessun effetto giuridico, essendo i termini prescrizionali sospesi (è ovvio che sul piano politico il discorso è totalmente diverso, ma è un piano, appunto, meta-giuridico). La soluzione indicata permetterebbe, inoltre, alla Corte di ribadire il suo rigore interpretativo, mediante la conferma integrale della propria giurisprudenza, e al contempo la sua sensibilità e mitezza istituzionale.

È vero che questo finirebbe con lo scontentare tutti gli ultras delle opposte fazioni, ma forse proprio perché entrambi trasferiscono su piani impropri le loro ragioni politiche. In ogni caso, a prescindere da quale sarà la decisione assunta e ferma restando la sua naturale opinabilità teorica, anche in questa occasione la Corte costituzionale confermerà di essere un faro che illumina di verità e giustizia l’intero edificio repubblicano.


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